“Vanno in rovina tutte le cose”
(Cassiodoro)
La terra trema, la pietra antica e solida come il mondo ha ceduto,la fessura si è aperta un varco, un vuoto ed un baratro, ma qualcosa è rimasto: una colonna, una parete, un rudere, una casa.
Ma se la terra oggettiva, reale e concreta ha subito un danno, cosa ne è della Psiche degli uomini e della “Anima mundi di antica memoria plotinica?”(1)
Simbolicamente la terra è la madre natura che accoglie, sostiene, rinforza; da sempre ha rappresentato il terreno sotto i piedi, la base sicura a cui aggrapparsi e tenersi nei momenti di difficoltà e di trasformazione. Potremmo dire che rappresenta l’identità arcaica e primaria del mondo, stabilità e base sicura.
Ma la terra sul piano psichico è anche l’immagine dell’archetipo del Femminile, il senso della vita da cui tutto parte e tutto ritorna perpetuando il ciclo del “mito dell’eterno ritorno”(2): la vita accanto alla morte, il visibile con l’invisibile, il seme che diventa frutto: nutrimento dell’Anima individuale e collettiva.
Il terremoto, una violenta scossa energetica che crea una frattura nella crosta terreste, nel momento in cui compare sullo scenario di un luogo, non danneggia o deturpa solo la materia di quel posto, di quello spazio, ma anche il senso dell’esistenza. Nei luoghi, nelle case, nei palazzi, nelle fontane o nelle strade di una città o di un paese è racchiusa la storia, il tempo, la successione degli eventi, il profumo antico di un’esperienza, i giochi dell’infanzia, il racconto di una favola. Il terremoto distrugge tutto questo, crea uno spaccato nell’ identità della Psiche( inteso questa come unione della coscienza con l’inconscio) e si assiste allafrattura dell’asse Io/ Sè.
Allora la discontinuità si presenta sulla scena e la vita diventa una retta spezzata o frastagliata nella sua intima essenza: l’archetipo della Madre/Materia , il corpo, ciò che si tocca, è concreto, ha una forma, il contenitore archetipico che tiene unite le diverse e variegate forme di esistenze della Psiche e della vita umana, viene aperto e lesionato come un vaso di cristallo.
Lo spazio come forma e contenitore che racchiude il mondo fantastico ed emozionale di una persona , con l’esperienza del terremoto viene scosso; una linea immaginaria lo attraversa in più parti e la coesione della coscienza vacilla . Le paure ancestrali compaiono all’orizzonte e si smarrisce il baricentro gravitazionale della propria esistenza: ciò che era unito nella sua “dimensione archetipica”,(3) la terra, si è frantumato. Accanto a questa esperienza di rottura dello spazio del contenitore, anche il tempo subisce una notevole variazione : la continuità come valore simbolico viene interrotta e , come in alcune crisi di grave disagio psichico, all’improvviso il tempo dello scorrere, il divenire, si arresta : si crea un gap, un salto nel vuoto.
Il prima non è più unito al dopo e l’adesso viene vissuto in maniera totalizzante sul piano delle manifestazioni del dolore, della paura, della tragedia. Tutto ciò che era stato costruito, tirato su con pazienza e fatica, che era collegato al tempo ritmico viene abbattuto, cade a terra e come in certi giochi di infanzia quando ci si divertiva con le costruzioni bisogna ricominciare dall’inizio…lì era un gioco,qui invece può essere una tragedia.
Mi preme sottolineare la diversa concezione del tempo che si affaccia all’orizzonte, in quanto qui la categoria del tempo come quella dello spazio, si spezza dalla sua funzione di garante della continuità; esperienza questa che si può verificare diverse nella vita, ma nell’evento che accompagna il terremoto, diventa all’unisono con lo spazio: entrambe questi poli vengono oggettivati. La rovina di una colonna dorica di un palazzo è la traccia, la testimonianza visibile agli occhi che qualcosa di profondo ha scosso non solo la Psiche individuale, ma anche quella collettiva ed il senso primario dell’identità spaziale, stabile e sicura, quale è la terra, è venuto meno.
Dopo una forte esperienza sismica,dove aggrapparsi? Chi sostiene il mondo? I luoghi e gli oggetti non sono privi di un senso, ma in quanto portatori di storia hanno un valore che costella la nostra vita. Le nostre pi ù intime esperienze emotive sono sempre nell’immaginario collegate ad un luogo o a qualche oggetto; è come se l’esperienza emotiva umana non potesse esistere senza un contenitore e viceversa: in questo binomio dialogico e dialettico tra i luoghi e la Psiche si snodano i nostri percorsi esistenziali. Stiamo metaforicamente parlando delle radici, del senso di appartenenza, essere legati, riconoscersi e ritrovarsi non solo nei luoghi della nostra interiorità ma anche nel mondo che esiste là fuori. Non si ammala solo “l’Anima di un individuo, ma anche quella del mondo.”(4)
Il terremoto tocca le radici di una persona, di un popolo e della sua storia e tutto ciò crea gravi problematiche a livello psicologico; l’angoscia del crollo albeggia ed il confronto con la morte, reale ed oggettiva, diventa un confronto a cui non ci si può sottrarre, testimoniato il tutto dalle macerie e dalle rovine rimaste come tracce reali e simboliche della distruttività e delle forze irrazionali presenti nella natura e nell’uomo.
Nell’essere umano quando si prende consapevolezza dell’accaduto dopo un evento sismico, il primo impulso è quello di partire dalle rovine, da ciò che è stato risparmiato, andando alla ricerca di uno spazio protettivo e stabile come contenitore in cui ritrovarsi ; occorre ri-costruire, ri-partire, metaforicamente parlando, occorre rimettere insieme il senso con l’esistenza, la stabilità con la progettualità del futuro. Risulta importante riflettere su questo atteggiamento psichico presente nell’animo umano:sembra quasi attingere ad una forza inconscia il cui telos è quello di ricostruire, non solo per una necessità reale, ma forse perché nella complessità della Psiche ogni volta che si costella il tema della distruttività si attiva il polo opposto della creatività. Questo impulso è connesso anche con l’idea del tempo come continuum, poiché indubbiamente col sisma il ciclo del tempo inteso come un fluire ed uno scorrere viene interrotto, sospeso sul piano della percezione fenomenologia e diventa una esperienza atemporale: il tempo si ferma e si vive in una dimensione di essere per certi versi fuori da un connotazione reale e razionale,cosi come spesso stanno a testimoniare alcune forme di costruzione andate in rovina. Sembra che la Psiche non possa resistere per un lungo tempo in tale condizione ma necessita di ricollocarsi lungo l’asse del continuum, del prima e del dopo in cui il presente diventa fulcro dell’esistenza umana.
Partire dalle rovine significa restituire alla vita il senso dell’antica memoria, non azzerarsi nel nulla e nel vuoto ma riprendere la precipitazione della rovina dalla profondità del disastro per ricreare ciò che è stato distrutto. Non è solo il senso di autoconservazione , ma la consapevolezza che l’istinto creativo è importante al pari di altri istinti di natura biologica;in tal senso la ricostruzione intesa come atto creativo diventa gesto reale e simbolico come risulta dalle esperienze che molte volte l’uomo si è trovato nella vita ad affrontare come quando si verifica la perdita e il crollo di certezze, valori reali e spirituali.
La ricostruzione risulta pertanto muoversi lungo l’asse della Psiche oggettiva e soggettiva; attiva e stimola l’istinto creativo e corrisponde ad una specifica esigenza legata alla progettualità di “mettersi all’Opera”(5), incamminandosi nell’incontro con la materia non solo per rispondere al bisogno di costruire le case ma anche come possibilità di fronte alle forze irrazionali della natura di escogitare nuove strategie,conoscenze tecniche e senso dell’etica per ricostruire in maniera diversa, più solida riparando gli errori del passato.
In questo senso allora le rovine possono anche essere guardate con occhi diversi secondo una lettura simbolica, ovvero come una testimonianza visibile del passato permettendo all’uomo di collegarsi alla storia e alle radici profonde della propria terra,della cultura per potersi proiettare in un futuro. Tutto ciò per affrontare e sopportare sopportando in maniera più adeguata le diverse manifestazioni della discontinuità e della frammentazione sempre presente nell’evoluzione della coscienza e della storia della civiltà.
Partire dalle rovine di un castello abbandonato,tenere conto del passato,cogliendone i limiti e le vulnerabilità è un operazione non solo utile sul piano specificatamente tecnico, ma anche importante sul piano dello sviluppo della coscienza individuale e collettiva, poiché contribuisce a unire il vecchio con il nuovo, tende a lenire le fratture imposte dal tempo e rafforza l’identità di una civiltà e di un popolo attraverso l’arte e l’abilità della ricostruzione. In questo senso la ricostruzione oltre a richiamare l’antico tema del rapporto dell’uomo con la natura, dello sviluppo, del progresso (più o meno condiviso) con l’arresto, la demolizione, la caduta e il crollo, in fondo richiama alla polarità archetipica della creazione e della distruzione elementi da sempre presenti nello sviluppo umano individuale e collettivo.
La ricostruzione diventa un processo che arreca non solo un benessere materiale ma anche soddisfa la dimensione emotiva degli individui;si pone come un atto materiale psichico, concreto e simbolico ricordandoci il rapporto tra solidità e precarietà,continuità e discontinuità, compattezza e rottura, “solve et coagula”.(6)
In questo alternarsi di luce ed ombra, solidità e fragilità, inizio e fine, a razionalità ed irrazionalità, oscilla la progettualità costruttiva della vita umana, attraverso l’Opus di antica memoria alchemica, per dare un senso a tutto ciò che irrrompe irrazionalmente lungo l’arco dell’evoluzione umana.
La ricostruzione è un’arte come ci insegna il passato,diventa occasione per colmare le bruttezze di un edificio, permette di vedere i luoghi della materia intrisi di un aspetto pisicologico, restituisce al mondo là fuori una esistenza ed una finalità estetica che concorre in una visione individuativa ed olistica a non separare il tutto dalla parte.
Affiancare tale arte con la consapevolezza etica che l’armonia di una piazza, la creazione di un centro di incontro, un parco giochi per l’infanzia costituisce una intima necessità della nostra Anima , uscendo dal puro soggettivismo per entrare nel modo della Polis. L’Opus della ricostruzione, partendo da un evento negativo e tragico quale è il terremoto, può rappresentare occasione per tutta la Polis, strumento di crescita individuale e collettiva, unendo là dove è possibile, l’etica con l’estetica, il senso del bene individuale e collettiva con la bellezza intesa come armonia del cosmo. Come è possibile allora ricostruire senza tenere conto di Venere, la dea della bellezza e della sensibilità estetica?
In un mondo come quello odierno, ammalato di narcisismo in cui il contatto tra il moderno e l’antico diventa sempre più scisso, in cui la verticalità della costruzione dei palazzi ha preso il posto della dimensione orizzontale, è importante che la nuova visione della ricostruzione riesca ad integrare l’etica con l’estetica poichè è anche di questo dialogo dialettico che oggi si sente fortemente la mancanza.
Restituire un senso etico ed estetico all’arte del costruire può rappresentare una delle possibile strade per riprendere a guardare con occhi diversi il mondo e ad immaginare che questa visione possa essere una cura possibile per il disagio individuale dell’Anima e di una città privata della sua bellezza.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1) F.Testa – R.Ortoleva, I Territori dell’Alchimia, Moretti e Vitali, Bergamo, 1998
2) M .Eliade, Immagini e simboli, Jaca Book, Milano, 1997
3) C.G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, Boringhieri, Torino, 1980
4) P.Giacobbe, Psicopatologia come mito, Giuffrè, Milano,1986
5) F.Testa-R.Ortoleva, Psicosi e creatività, Vivarium, Milano 2005
6) A.Vitale, Solve e coagula, Moretti e Vitali, Bergamo, 1998